giovedì 22 ottobre 2009

CIò IN CUI CREDO
di James Ballard

Credo nel potere che ha l'immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli. Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d'auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell'eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati. Credo nelle rampe in disuso di Wake Island, che puntano verso il Pacifico della nostra immaginazione. Credo nel fascino misterioso di Margaret Thatcher, nella curva delle sue narici e nella lucentezza del suo labbro inferiore; nella malinconia dei coscritti argentini feriti; nei sorrisi tormentati del personale delle stazioni di rifornimento; nel mio sogno che Margaret Thatcher sia accarezzata da un giovane soldato argentino in un motel dimenticato, sorvegliato da un benzinaio tubercolotico.

Credo nella bellezza di tutte le donne, nella perfidia della loro immaginazione che mi sfiora il cuore; nell'unione dei loro corpi disillusi con le illusorie sbarre cromate dei banconi dei supermarket; nella loro calda tolleranza per le mie perversioni. Credo nella morte del domani, nell'esaurirsi del tempo, nella nostra ricerca di un tempo nuovo, nei sorrisi di cameriere di autostrada e negli occhi stanchi dei controllori di volo in aeroporti fuori stagione. Credo negli organi genitali degli uomini e delle donne importanti, nelle posture di Ronald Reagan, di Margaret Thatcher edella principessa Diana, negli odori dolciastri emessi dalle loro labbra mentre fissano le telecamere di tutto il mondo.

Credo nella pazzia, nella verità dell'inesplicabile, nel buon senso delle pietre, nella follia dei fiori, nel morbo conservato per la razza umana dagli astronauti di Apollo. Credo nel nulla. Credo in Max Ernst, Delvaux, Dalì, Tiziano, Goya, Leonardo, Vermeer, De Chirico, Magritte, Redon, Dürer, Tanguy, Facteur Cheval, torri di Watts, Böcklin, Francis Bacon, e in tutti gli artisti invisibili rinchiusi nei manicomi del pianeta. Credo nell'impossibilità dell'esistenza, nell'umorismo delle montagne, nell'assurdità dell'elettromagnetismo, nella farsa della geometria, nella crudeltà dell'aritmetica, negli intenti omicidi della logica. Credo nelle donne adolescenti, nel potere di corruzione della postura delle loro gambe, nella purezza dei loro corpi scompigliati, nelle tracce delle loro pudenda lasciate nei bagni di motel malandati.

Credo nei voli, nell'eleganza dell'ala e nella bellezza di ogni cosa che abbia mai volato, nella pietra lanciata da un bambino che porta via con sé la saggezza di statisti e ostetriche. Credo nella gentilezza del bisturi, nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell'universo nascosto nei supermarket, nella solitudine del sole, nella loquacità dei pianeti, nella nostra ripetitività, nell'inesistenza dell'universo e nella noia dell'atomo. Credo nella luce emessa dai televisori nelle vetrine dei grandi magazzini, nell'intuito messianico delle griglie del radiatore delle automobili esposte, nell'eleganza delle macchie d'olio sulle gondole dei 747 parcheggiati sulle piste catramate dell'aeroporto. Credo nella non esistenza del passato, nella morte del futuro, e nelle infinite possibilità del presente.

Credo nello sconvolgimento dei sensi: in Rimbaud, William Burroughs, Huysmans, Genet, Celine, Swift, Defoe, Carroll, Coleridge, Kafka. Credo nei progettisti delle piramidi, dell'Empire State Building, del Fürerbunker di Berlino, delle rampe di lancio di Wake Island. Credo negli odori corporei della principessa Diana.Credo nei prossimi cinque minuti. Credo nella storia dei miei piedi. Credo nell'emicrania, nella noia dei pomeriggi, nella paura dei calendari, nella perfidia degli orologi. Credo nell'ansia, nella psicosi, nella disperazione. Credo nelle perversioni, nelle infatuazioni per alberi, principesse, primi ministri, stazioni di rifornimento in disuso (più belle del Taj Mahal), nuvole e uccelli.

Credo nella morte delle emozioni e nel trionfo dell'immaginazione. Credo in Tokyo, Benidorm, La Grande Motte, Wake Island, Eniwetok, Dealey Plaza. Credonell'alcolismo, nelle malattie veneree, nella febbre e nell'esaurimento. Credo nel dolore. Credo nella disperazione. Credo in tutti i bambini. Credo nelle mappe, nei diagrammi, nei codici, negli scacchi, nei puzzle, negli orari aerei, nelle segnalazioni d'aeroporto. Credo a tutti i pretesti. Credo a tutte le ragioni. Credo a tutte le allucinazioni. Credo a tutta la rabbia. Credo a tutte le mitologie, ricordi, bugie, fantasie, evasioni. Credo nel mistero e nella malinconia di una mano, nella gentilezza degli alberi, nella saggezza della luce.

lunedì 12 ottobre 2009

Vivir Curiosa

http://munlight.wordpress.com/

Ya sea un impulso, ya sea algo grosero o sublime, o realmente el efecto de la educación de mis padres, lo cierto es que si, la curiosidad me impulsa a buscar la información y la interacción con mi ambiente natural y con otros seres de mi vecindad. Curiosidad divino tesoro.

La curiosidad requiere altas dosis de pasión. Es un gran motor.

Y no se salva nada ni nadie de esto. Solamente existen personas que la ignoran, que no pueden canalizar esta electricidad. El arte es una gran forma, el arte y todas sus formas mejor dicho.

Uno de mis talentos especiales es mi cuota de curiosidad sobre determinadas cosas, si, y las personas son casi lo principal que me genera curiosidad. No todas por supuesto. No todo sobre ellas, ya no.

Y quiero saber, quiero comprender, quiero curiosear en sus universos, encontré pocas mejores maneras de aprender.

Ahora sale en esta forma.

Cuando mi padre me regalo el libro “el principito”, me lo dedico pidiendome que “nunca pierda la capacidad de asombro” y no hay manera de no perder la capacidad de asombro que no sea manteniendo la curiosidad.
Siempre que me escuche: “la curiosidad mato al gato” me acorde de una viñeta de una historieta que no me acuerdo si fue “condorito” o “mafalda” donde el niño que había preguntado algo, al oir esa respuesta contesto: “ y que quería saber el gato”?. Siempre pensé que era lo mas lógico del mundo preguntar eso….que quería saber el gato? La curiosidad lo mato o se murio de curiosidad, o se murio por curioso? Que queria saber ese gato? Ja! Me divierte pensar en ese gato.

Que hay mas allá de la superficie? Raíces? Ideas? Sensaciones? Mentiras? Verdades? ganas? Sueños? Ansias? Pensamientos? Que hay?

No sale todo eso de alguna manera a la superficie? Sobre todo de las personas?Como todo en la naturaleza? Se gesta en un plano que no podemos ver y siempre algo pasa en la superficie?

Depende de cómo le de la luz a la superficie es como la vemos, depende del angulo. Hay cosas que se ven mejor a plena luz y hay cosas que realmente son mejores a la luz de las velas o la luna.

Como se choca la luz, como cambian los cielos cuando no hay edificios que emanan luz a las estrellas, como se ven las estrellas, las mismas en un cielo sin edificios, como otras que no se ven , si se ven cuando no hay luces artificiales alrededor.

A las personas también se las observa bajo diferentes luces. Nuestras luces. Las personas tambien cambian de luz. Y su superficie denota lo que tienen debajo de la piel. Y he descubierto que lo mejor igual es preguntar.


No se que queria saber el gato, lo que si se es lo que yo quiero saber. Y por las dudas voy a preguntar, porque no quiero morir de curiosidad, quiero vivir curiosa

Luna Palacios


Tabernero.....

martedì 28 luglio 2009

venerdì 15 maggio 2009


"La donna ideale"

Il sogno di un uomo
è una puttana con un dente d'oro
e il reggicalze,
profumata
con ciglia finte
rimmel
orecchini
mutandine rosa
l'alito che sa di salame
tacchi alti
calze con una piccolissima smagliatura
sul polpaccio sinistro,
un po' grassa,
un po' sbronza,
un po' sciocca e un po' matta
che non racconta barzellette sconce
e ha tre verruche sulla schiena
e finge di apprezzare la musica sinfonica
e che si ferma una settimana
solo una settimana
e lava i piatti e fa da mangiare
e scopa e fa i pompini
e lava il pavimento della cucina
e non mostra le foto dei suoi figli
né parla del marito o ex-marito
di dove è andata a scuola o dov'è nata
o perché l'ultima volta è finita in prigione
o di chi è innamorata,
si ferma solo una settimana
solo una settimana
e fa quello che deve fare
poi se ne va e non torna più indietro
a prendere l'orecchino che ha dimenticato sul comò.

(Henry Charles Bukowsky)

giovedì 30 aprile 2009

Severino Di Giovanni: Tango di Amore e Anarchia.

Una vita troppo breve, un amore infinito. Quello di Fina e Severino
Tango d’amore e d’anarchia

UN PO’ DI STORIA: LA DECADE INFAME.
Il fervore degli anni folli, della sfrenata vita notturna, si spegne negli anni Trenta: è la ‘decade infame’ (1930-43), quella della crisi economica mondiale e del colpo di stato di Uriburu. La crisi economica del ‘29 comportò una politica protezionista nei paesi sviluppati e un mutamento nella produttività nazionale, obbligando ad investire par te dei guadagni dell’agricoltura nella produzione di beni di consumo non più impor tabili. Ciò fu perseguito proprio dai settori che controllavano le terre del paese, interessati a sviluppare un apparato industriale solo temporaneamente, in attesa di tornare alle proprie rendite agricole. Questa politica, attuata dall’oligarchia in combinazione con l’esercito, provocò una for te repressione dei lavoratori, l’istituzionalizzazione dei brogli elettorali per conservare il potere e un’alleanza con i paesi stranieri sempre più sfavorevole per gli interessi nazionali (accordo Roca-Runciman 1933). Questo è il contesto dei fatti che racconteremo.

Una grande passione fa da sfondo a questa storia: quella della lotta per la giustizia attraverso l’anarchia, che si diffuse in Argentina all’inizio del ’900, tramite alcuni europei esiliati dalle loro
dittature. Come nel caso di un giovane abruzzese, anarchico e dissidente, fuggito dall’Italia di Mussolini. La sua vicenda meriterebbe una sceneggiatura hollywoodiana ma c’è
un motivo per cui non potrà mai succedere. Scopritelo.




SEVERINO DI GIOVANNI sbarca in America nel 1922, con la prima moglie, Teresa Mascullo, e tre figli. A forza di calpestare terra argentina, però, a veniquattro anni s’innamora perdutamente della quindicenne América Scarfò, che appartiene ad una famiglia cattolica della locale classe media: il che non le impedisce di innamorarsi dell’italiano e delle sue idee rivoluzionarie. Gli Scarfò sono una grande famiglia calabrese: padre, madre e otto figli, tra cui America Josefa, che tutti chiamano ‘Fina’; una studentessa delle scuole magistrali, che diventa subito - è un colpo di fulmine - il grande amore di Severino.

Fina è bella, giovane e irresistibilmente attratta da quest’uomo dai modi raffinati e dall’eloquenza f luente, che sa accendere in lei una passione sconosciuta e fortissima. Saranno tre anni di amore ardente fatto di lettere appassionate, di appuntamenti davanti alla scuola di lei, come un qualsiasi adolescente alla sua prima cotta, di lunghi silenzi e di baci furtivi. I fratelli di Fina non sapranno mai della relazione, o faranno finta di non sapere; la madre Teresina, donna semplice, non si accorgerà mai di nulla e i due amanti non daranno mai luogo al minimo sospetto.

Le lettere di Severino rivelano un animo poetico insospettato in una persona così fredda, così determinata, così violenta. L’ideale anarchico, che per lui trascende qualsiasi vicenda umana, trova in questo amore disperato un lenimento, ma, al tempo stesso, proprio perché si
tratta di una passione senza sbocchi, la sua azione politica si attorciglia in una spirale di violenza e di morte che lo conduce prima all’isolamento totale e poi verso una sorta di paranoia ossessiva.

Per tre anni Severino vive col tempo contato, senza un attimo di respiro, e combatte una guerra totale contro tutti, compresi i suoi amici anarchici, che da lui, a poco a poco, prendono le distanze. Due attentati, con parecchi morti e feriti, segnano una svolta nei rapporti con il movimento anarchico. Il primo è quello al Consolato italiano. L’intenzione di Severino è di far esplodere la bomba nella stanza del console. Per una serie di tragicomiche circostanze, la bomba viene lasciata nell’atrio del Consolato, perché pare che di lì a poco il console debba uscire. Invece l’ordigno esplode tra le centinaia di persone che stanno facendo la fila per il visto di entrata in Italia: nove morti e trentaquattro feriti.

Il secondo attentato avviene la vigilia di Natale del 1927. Una valigetta viene depositata nella sede della National City Bank. Nel clima euforico delle feste, le impiegate stanno
acquistando da un commesso delle calze di seta, non si accorgono di quella valigetta nera, lasciata sotto una sedia da un cliente vestito di nero: due morti e ventitré feriti.



I giornali anarchici si scagliano contro le belve sanguinarie che, in nome dell’anarchia, seminano solo lutti; perfino il quotidano anarchico Antorcha, pur tra mille contorcimenti, condanna gli attentati. Solo Aldo Aguzzi difende Severino e i gruppi terroristici e parla di risposta sbagliata al terrorismo di Stato. Di Giovanni ribatte alle accuse colpo su colpo, scrive articoli deliranti su Culmine, la rivista di cui è editore, interviene su Antorcha, scrive all’Adunata dei refrattari pretendendo la nomina di una specie di gran giurì dell’anarchismo mondiale che giudichi le sue azioni. Da New York i patriarchi del movimento anarchico Luigi Fabbri e Vincenzo Capuana gli danno ragione. Sentendosi quasi autorizzato da questa singolare sentenza, Severino compie di seguito un attentato alla cattedrale, un morto; colloca, insieme con Buenaventura Durruti, una bomba su una nave attraccata nel porto e il cui equipaggio era in sciopero; rapina il Banco de Avellaneda, la Centrale degli autobus, il furgone della ditta Kloekner, che portava le paghe dei dipendenti e la sede degli Acquedotti comunali. L’azione che però lo perde definitivamente è l’uccisione di Emilio López Arango, anarchico, nuovo direttore de La Protesta.




Nessuno degli anarchici può perdonargli questo fratricidio; da quel momento, fine gennaio del 1930, Di Giovanni è veramente solo, anche perché Alejandro Scarfò, fratello di Fina, anche lui nel movimento anarchico, è stato arrestato e altri tre della sua banda hanno perso la vita durante le rapine. Gli resta soltanto il fedelissimo Paulino, altro fratello anarchico della famiglia Scarfò, e l’immenso amore di Fina. Progetta, perciò, di far evadere, colt alla mano, Alejandro e poi di fuggire con Fina ed i suoi fratelli in Francia. L’assalto al furgone di polizia in cui dovrebbe esserci l’amico riesce, ma il furgone è pieno solo di prostitute. Alejandro è rinchiuso in una
delle prigioni più inaccessibili dell’Argentina, il manicomio criminale di Vieytes. Severino non è uomo che si arrende facilmente.
La liberazione di Alejandro diventa il suo unico obiettivo per il quale si procura altro denaro rapinando, nel settembre del 1930, l’Opera Sanitaria Italiana. Con quei soldi affitta una villetta, con annesso un orto, nella zona di Belgrano e ci va a vivere insieme con Paulino, Fina,
Jorge Tamayo Gavilan, l’uomo che è felice solo quando può giocarsi la vita e Silvio Astolfi. Ha un progetto complicato: liberare Alejandro, fuggire in Uruguay e da lì imbarcarsi per la Francia e far espatriare Fina, facendola sposare ad Astolfi, che ha conservato la cittadinanza italiana.
Nello stesso tempo non rinuncia alla sua attività di tipografo-editore e prepara un’edizione, elegante e raffinata, con tiratura limitata in due volumi, degli scritti di Eliseo Reclus, il suo autore preferito.
Per preparare l’evasione il gruppetto di anarchici dispiega una va-
sta azione terroristica: in un solo giorno fanno esplodere tre bombe in tre posti diversi della capitale, facendo quattro morti. Severino vuole creare un clima di inquietudine ed esasperazione affinché l’attenzione della polizia si concentri sull’ordine pubblico e si pensi ad una cospirazione anarchica di vaste proporzioni. In tal modo crede di sviare l’interesse verso gli anarchici in car-
cere. Nel pomeriggio del 30 gennaio 1931 si reca in tipografia per correggere le bozze definitivdel secondo volume degli scritti di Reclus: un’imprudenza, perché la polizia ha compiuto diverse retate ed ha arrestato, tra gli altri, parecchi tipografi di origine italiana, praticamente tutte le tipografie di Buenos Aires sono sotto controllo. All’uscita dalla tipografia due poliziotti in bor-
ghese gli intimano di arrendersi.

Severino scappa tra i vicoli del centro e spara contro gli inseguitori. Più di venti poliziotti tentano di bloccarlo; sparano tutti; tra i due fuochi viene colpita a morte una bambina. Severino si ritrova all’improvviso, in un vicolo, un agente, senza esitare spara e lo abbatte poi corre a rifugiarsi in un hotel. Ai clienti dell’albergo che vedendolo cominciano a urlare, dice: «non vi spaventate, non vi faccio niente». In quel momento irrompe la polizia che spara all’impazzata.
Severino, senza scomporsi, risponde ed uccide un secondo poliziotto poi imbocca l’ascensore e cerca di svicolare dal tetto. Riesce, passando attraverso alcune terrazze, a scendere in un garage, dove i poliziotti lo attendono e gli scaricano addosso più di cento colpi. Sentendosi perduto, appoggia la pistola al petto e si spara un colpo, ma la ferita non è mortale e gli fa solo perdere i sensi.
Gli agenti lo bloccano e lo caricano su un’ambulanza che viene scortata da dieci pattuglie in motocicletta. In ospedale i chirurghi lo operano immediatamente, ma non è in pericolo di vita. Il Presidente della Repubblica in persona ordina al Ministro degli Interni, Matias Sánchez Sorondo, di trasferire subito Di Giovanni in un penitenziario e di costituire un tribunale militare
per giudicarlo. Il generale Medina viene, con decreto d’urgenza, nominato presidente della corte marziale. Nella notte Di Giovanni e Paulino Scarfò vengono giudicati e condannati a morte mediante fucilazione. Si verifica solo un imprevisto. Il tenente Juán Carlos Franco, nomi-
nato difensore d’ufficio, svolge il suo compito sul serio e tiene un’arringa difensiva che mette sotto accusa i metodi terroristici della polizia e l’uso strumentale che il governo vuole fare della vicenda Di Giovanni. Ma, terminata l’arringa, la pubblica accusa chiede il suo arresto im-
mediato e propone la degradazione e l’espulsione dall’esercito.

La Corte pronuncia la sentenza di condanna a morte per Severino e poi accontenta il pubblico ministero, aggiungendo l’espulsione dallo Stato per il tenente Franco, che viene esiliatoa Montevideo. Centinaia di persone si accalcano davanti alla prigione per vedere il famoso bandito; alcuni ministri, qualche attore famoso e altre personalità chiedono di vedere da vicino «la belva sanguinaria». Di Giovanni rifiuta di vedere chiunque e accetta solo la visita di Teresina e di Fina, che è venuta con la scusa di salutare il fratello.






All’alba del 1° febbraio 1931 Seve- rino di Giovanni viene condotto nel cortile del Carcere Central per essere fucilato. Si racconta che chiese al sergente che comandava il plo- tone di poter esprimere un ultimo desiderio e questi pose subito mano al pacchetto delle sigarette. «Non
voglio fumare, disse Severino, voglio un caffè. Dolce, mi raccomando«. Gli portarono una tazzina che riuscì a reggere a stento poiché i ferri gli serravano i polsi; bevve in maniera goffa quel caffè e restituendo la tazzina, rimproverò il sergente:
«Avevo detto dolce, un caffè molto dolce; pazienza, sarà per la prossima volta» e s’avviò verso il cortile.
Nessuno degli otto soldati, che componevano il plotone d’esecuzione, sbagliò. Paulino Scarfò fu fucilato un’ora dopo; non aveva ancora compiuto ventun anni.

Severino rimase un pericolo pubblico anche da cadavere. Seppellito durante la notte, in fretta e furia, nel cimitero della Chacarita in una tomba senza nome, la polizia scoprì con orrore che quella tomba, la mattina dopo, era ricoperta di rose rosse. Fu disposto che il corpo fosse rimosso
e buttato in una fossa comuni. Ma anche allora, per giorni e giorni, ogni mattina, gli agenti trovarono la fossa ricoperta di rose rosse. Non si scoprì mai chi fosse la misteriosa persona che portava i fiori durante la notte.


LE LETTERE che Severino Di Giovanni scrisse all’amata Fina furono scovate da Osvaldo Bayer, il giornalista argentino che sull’anarchico svolse accurate ricerche culminate nella pubblicazione di una fondamentale biografia nota anche in Italia (Osvaldo Bayer, Severino Di Giovanni, l’idealista della violenza, Edizioni Collana “V. Vallera”, Pistoia 1973).
La Scarfò cercò a lungo di riottenere dalle autorità i vecchi scritti.

Le riuscì, ottantaseienne. Mori nell’agosto 2006, a 93 anni.


Fonti
L’idealista della violenza
Osvaldo Bayer, Ed. Collana Vallera, 1973
L’italiano che amò l’Ame ica
articolo di Silvia Garnero
Amore e anarchia
articolo di Antonio Orlando



Ho la febbre in tutto il corpo
Una lettera a Josefina Scarfò
Domenica 19 agosto 1928.
«Mia amica. Ho la febbre in tutto il corpo. Il tuo contatto mi ha riempito di tutte le dolcezze. Mai come in questi lunghissimi giorni, ho tanto centellinato i sorsi della vita. Prima vivevo le ore tranquille di Tantalo ed ora, oggi, l’oggi eterno che ci ha uniti, vivo, senza saziarmi, tutti i sentiti armo- niosi dell’amore tanto cari a Shelley ed alla George Sand. Ti dis- si - in quell’amplesso espansivo - quanto tempo ti amavo, ma vor- rei dirti anche quanto ti amerò, perché il pane della mente che sa materializzare tutte le idealità elette dell’esistenza umana,ci sa- rà la guida più esperì a ,pieno di tante abilità, risolutrice di tutti i problemi nostri, che - e te lo dico con tutta la sincerità di un amico, di un amante di un compagno il nostro unisono bene sarà bello e lungo, godente e pieno di tutti i sentimenti, grande e scon- finatamente eterno. Quando ti parlo di eternità - tutto ciò che il cuore ha voluto ed amato è eterno - voglio alludere all’eternità dell’amore. L’amore mai muore. L’amore che ha germogliato lon- tano dal vizio e dal pregiudizio, è puro e nella sua purezza non si può contaminare e l’incontaminato è dell’eternità.Vorrei potermi esprimere sempre nel tuo idioma (Fina gli scriveva sempre in Ca- stigliano, n.d.r.)per cantarti ogni attimo del tempo la dolce can- zone dell’anima mia, farti comprendere i palpiti che percuote for- temente il cuore, le delicate figurazioni del pensiero mio che di tè invaghitesi non potrà mai dare il “finis” della sua elegia. Ma d’altra parte - io che credo che il mio amore è da te con- traccambiato con tutta la possanza della tua gioventù ancora in bocciolo, l’ho letto tante volte sulle tue nere pupille - mi contento nel sapere che per comprendere queste linee debbono essere rilette più di una volta da tè. Tu non avrai tempo di scrivermi. Tu devi ancora dedicarti allo studio. Baciami come io ti bacio. Rendimi duplicato il mio bene che ti voglio. Sappi che ti penso sempre, sempre, sempre. Sei l’angelo celestiale che mi accompa- gna in tutte le ore tristi e liete di questa mia vita refrattaria e ri- belle. Con te, ora e sempre».

venerdì 24 aprile 2009

giovedì 19 marzo 2009

Vamos MELINGO, Carajo!!

Desde el hondo bajo fondo
by Dj Punto y Branca


Vamos Melingo, Carajo !!

"O que será que será
Que vive nas idéias desses amantes
Que cantam os poetas mais delirantes
Que juram os profetas embriagados
Que está na romaria dos mutilados
Que está na fantasia dos infelizes
Que está no dia-a-dia das meretrizes
No plano dos bandidos, dos desvalidos
Em todos os sentidos, será que será
O que não tem decéncia, nem nunca terá
O que não tem censura, nem nunca terá
O que não faz sentido
O que será que será"
(Chico Buarque de Hollanda)

Un poco di Bio
Questo musicista nato nel 1957 ha suonato insieme a Milton Nascimento fino al momento in cui comincia a formare parte del gruppo Los Abuelos de la Nada nel 1980.

Paralelamente crea il gruppo Los Twist insieme a Pipo Cipolatti (Suoi sono le hit "Cleopatra" e "Hulla Hulla"). Questi due gruppi sono capostipite del rock argentino degli anni 80.


Nel 82 due è chiamato a formare parte di Las Ligas, gruppo di accompagnamento di Charly Garcia, la più grande rockstar argentina.
Nel 95 realiza il suo primo disco solista "H2O", ispitato al fumetto "L'Eternauta"
Durante 1997 incursiona nella conduzione televisiva col programma "Mala Yunta" per il canale "Solo Tango" e dove invita i musicisti rock a suonare il tango.
E' nel 98 che esce "Tangos Bajos" il suo primo disco di tanghi, per poi continuare con "Ufa!" (2003)

Mañana Records, l'etichetta discografica di Makaroff, l'argentino dei Gotan Project, pubblica nel 2004 la recopilazione "Santa Milonga". E finalmente nel 2008, il nuovo lavoro "Maldito Tango".

Oh Che Sarà, che sarà...
Ha conosciuto il meglio e il peggio degli anni ottanta, quelli in cui la sigla continuava ad essere "sex, drugs and rock'n roll" e non a sproposito...
A inizi dei 90 molla il rock e il pop per entrare in pieno nel tango, e proprio in quello " reo y orillero".
Cosa sarà che succede nella testa di qualcuno che transita per quelle strade?
"Che ne so- risponde Melingo- mi lo chiedo anche a me stesso. Mi preoccupa di più quello che succede nella mia anima. Intanto continuo il camino"

Nei brani che Daniel Melingo interpreta, dipinge di corpo intero a emarginati e milongueri vari, della mano dei poeti come Carlos de la Pùa, Celedonio Flores, Enrique Cadicamo, Julian Centeya y Luis Alposta e altri di composizione propria. Dice che il tango è il genere che più lo identifica e che sempre gli è stato vicino. Il suo patrigno, che è stato il manager di Edmundo Rivero, a quindici anni gli ha regalato un bandoneon, e nella sua discoteca adolescenziale c'erano le collezioni complete di Edmundo Rivero y Carlos Gardel.

Ma... qual'è il tango che più lo identifica?
"Il mio è il tango cancion-risponde- quello di Gardel, Ignacio Corsini e Charlo e che poi hanno continuato Fresedo, De Caro, Canaro e dopo Anibal Troilo, quel tango più milonguero, non quello ballabile e orchestrale del 40.Nel mio repertorio sto approfondendo il "compàs", il fraseggio, la musicalità più pura del tango "orillero" di inizi novencento. Alcuni testi sono di cinquanta anni fa, altri sono scritti ora, perchè il tango è atemporale e universale, per quello in molti tanghi sembra che il passo del tempo non ha effetti."
Melingo non è pazzo. Per quello sono possibili i suoi tanghi improbabili, col filo conduttore della follia. Melingo è una persona,certo. Ha sopravissuto a se stesso, alle sue infinite peripezie personali fino a diventare un personaggio letterario in carne e ossa.
Melingo è la leggenda di Melingo, il protagonista d'una vita troppo intensa che ha sboccato inevitalbilmente nel tango.

Per essere Melingo si deve camminare per strada anussando la poesia come un cane da caccia. Ballare come un latigo e cantare come una cicatrice.
Melingo è un musico enorme. Ha studiato in conservatorio ma conserva poco di quella accademia. E' - e sempre sarà- un avventuriero furioso, delirante, allucinato. Un bohemien di Buenos Aires, o sia, del mondo. Possiamo chiamarlo Maestro perche è stato capace di raggiungere la umiltà. Niente più naturale, allora, che la risata di fuoco de suoi tanghi.
Lui polverizza i confini tra il sacro e il profano. In queste canzoni c'è tanta adorazione come irreverenza. C'è un casino di ortodossia e tonelate di eresia. C'è l'ecceso e l'accuratezza. Amore e follia.
Penetra negli altari della musica roplatense senza bussare.Le porte si aprono al suo paso perche , palpitando, si è guadagnato il diritto a giocare con la dura legge del tango.
Tango de ley, la formidabile follia di Melingo.

Maldito Tango
Daniel Melingo, star del rock argentino negli anni ’80, in seguito protagonista della movida madrilena e intrepido esploratore del Brasile, oggi è diventato l’uomo della nuova frontiera porteña. Con una voce particolare, scura e fumosa, un po' Tom Waits e un po' Nick Cave, Melingo è l’ambasciatore di un tango moderno, eclettico ed elettrico. Melingo è un artista che ama, crea e suona il tango e la milonga in modo eccezionale, è un precursore della scena musicale di Buenos Aires, considerato come colui che ha reinventato il “tango cancion”. Melingo è autore, compositore e produttore dei suoi album. Ora Melingo arriva con 'Maldito tango': un album creato, distrutto e ricostruito in sei mesi, non un album jazz o solo un album di tango, ma un’opera elaborata che rompe le regole e distorce i codici del tango, citando i poeti di ieri e di oggi e dando una nuova vita alla musica e al tango-canzone, con fascino e bellezza davvero unici. Molte delle canzoni cantate da Daniel Melingo in questo secondo album sono opere di poeti e autori di tango che s’identificano con la sofferenza e l’astuzia della gente di Buenos Aires, scrivendo in lunfardo (lo slang di Buenos Aires) e descrivendo i limiti della città, i suoi quartieri, i suoi cabaret, la povertà e la tristezza della sua gente. Ascoltare 'Maldito tango' è come guardare una serie di fotografie istantanee bizzarre: il borsaiolo sull'autobus, la prostituta di pianto, il vagabondo, il lavoratore di giorno che balla via la notte, il bambino che muore a causa della solitudine, l'argentino di Montmartre, gli innamorati con la loro segretezza cauta e guardinga, il vecchio playboy…



Discografía
H2O, 1995
Tangos bajos, 1998
Ufa, 2003
Santa milonga, 2004
Maldito Tango, 2008

giovedì 15 gennaio 2009